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domenica, Novembre 10, 2024

Siena hai tanto su cui ricostruire uno sviluppo

Ciao Fabrizio, grazie per la tua disponibilità. Da senese ti sei trasformato in romano e quindi ci stai bene nella rubrica dei “SenesidifuoriSiena”. A questa città che spesso ristagna fa bene, tanto bene che, chi gli appartiene ma è in grado di vederla da un’altra angolazione, possa esprimersi. Questo vuol dire che non faremo cenno all’iperspecializzazione che hai maturato in temi ecologici e di transizione ambientale, quindi ti proponiamo a seguire un’altra intervista solo su questi argomenti che pressano alla porta di ciascuno e più che mai nel Senese.

Allora, Fabrizio Vigni faceva il pendolare tra Siena e Roma quando aveva incarichi politici, poi quando ha smesso ha scelto Roma per vivere e lavorare. Ci dici le differenze tra vivere nella capitale e in provincia? E, se ci sono, ci parli anche delle similitudini?

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“Guarda, penso che il confronto tra metropoli e provincia non si possa più fare nei vecchi termini novecenteschi. Con l’avvento delle tecnologie digitali e della rete, per dire, anche dal più piccolo dei borghi puoi fare cose prima riservate solo a chi viveva nella grande città. Dopo di che, certo, di differenze ne rimangono tante. Ogni dimensione urbana ha i suoi pro e i suoi contro. Se confronto la qualità dei servizi pubblici, ad esempio, la vita in una città come Siena è sicuramente migliore. Roma, dai rifiuti ai trasporti, è un disastro. Se invece guardo, che so, alle opportunità culturali, è evidente che Roma ne offre infinitamente di più. Similitudini? Sono due città con una identità forte, con uno spiccato senso di sé. Entrambe stanno vivendo una fase difficile. Tornando alle mie scelte, sarà l’inquietudine, sarà la curiosità, fatto sta che mi è sempre piaciuta l’idea di poter avere punti diversi di osservazione sul mondo. A volte penso: sono stato fortunato. Sono nato e ho vissuto prima in uno luoghi tra i più belli del mondo – Siena e la sua terra – e ora in una città di cui, nonostante il degrado, non si finisce mai di scoprire la bellezza. Poteva andarmi peggio”.

Fabrizio Vigni nel 1988

Restiamo sull’ovvio. Siena, quanto ha pesato sulla tua formazione? Ricordi, contrade, amici, il lock-down ti ha avvicinato o allontanato? Il Palio vieni a vederlo? Quanto le cose normali hanno contato nella tua vita di senese?

“Certo, Siena è stata determinante nella mia formazione. Non potrebbe essere altrimenti. Nato in Fontebranda. Cresciuto nel Nicchio, la mia contrada. A Siena ho studiato, a Siena ho incontrato la politica nel PCI degli anni ’70. Una comunità straordinaria, una scuola di politica ma anche di vita. Siena è memoria, amicizie, amori, dolori, pagine e pagine di vita. Consapevolezza di radici che non trattengono, non imprigionano, ma pur sempre radici. E quando dico Siena non intendo solo la città. Quando torno – lo faccio spesso, anche se un po’ meno in quest’ultimo anno e mezzo di pandemia – non faccio fatica a sentirmi a casa in qualunque parte della provincia. Confesso che ci sono momenti in cui Siena mi manca, la campagna non meno della città. Quelle terre che sono altrettanti paesaggi dell’anima. Quella luce, quell’aria unica, irripetibile, che si respira sulle colline della Val d’Orcia o sulle Crete, quando scorgi le torri di San Gimignano. Anche chi vive altrove porta dentro di sé fili invisibili che a Siena lo legano e difficilmente si spezzano. Ai senesi che vivono lontano dalla loro città consiglierei di rileggere, ogni tanto, questi versi di Mario Luzi, tratti dal Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini: “Mi guarda Siena / mi guarda sempre / dalla sua lontana altura / o da quella del ricordo / come naufrago? / come transfuga? / Mi lancia incontro la corsa / delle sue colline / mi sferra in petto quel vento / Siamo ancora / io e lei, lei e io / soli, deserti / Per un più estremo amore? Certo”. C’è tutto, in quei versi”.

La storia ti ha reso una persona rara. Ultimo segretario provinciale del Pci, primo della Quercia (Pds), nel frattempo Parlamentare, anche con i successivi Democratici di Sinistra. Infine partner di Veltroni nella costruzione del Partito Democratico. Tocca anche a te, esprimerti sulla crisi identitaria… Cuperlo ci ha detto che la troppa convinzione nella propria forza/giustezza, ha impedito al Partito di fare analisi profonde quando questa crisi identitaria era solo all’inizio. Le tue opinioni?

“Rimango ostinatamente una persona di sinistra. Che vive a volte momenti di sconforto di fronte alla crisi del sistema politico italiano. Ho creduto al progetto del Partito Democratico, convinto della necessità di un partito nuovo che avesse nelle vene il riformismo del XXI secolo. Non semplicemente unire DS e Margherita, ma dare vita ad un partito nuovo, che avesse anche un forte profilo ecologista. Perché, per carità, ci sono molte cose buone nelle culture politiche del ‘900 da portarsi dietro, ma se hai davanti sfide inedite la vecchia cassetta degli attrezzi non basta più. Se vai in giro con carte geografiche superate non riesci più a orientarti. E se usi vecchi vocabolari non riesci più a farti capire. Io sono un ragazzo del secolo scorso, per parafrasare il titolo di un libro di Rossana Rossanda, ho vissuto gli anni più intensi del mio impegno politico in un tempo che ormai non c’è più, e penso che avesse ragione Camilleri nel dire che non si può essere contemporanei a tutte le epoche. Ma al tempo stesso, essendomi occupato molto di ambiente e green economy, ho avuto la possibilità di guardare al futuro più di certi trentenni che ancora non hanno ancora compreso le sfide più importanti del nostro tempo. Perché occuparsi di ecologia è come guardare le cose con un cannocchiale che ti consente di vedere più lontano: era evidente già 20-30 anni fa che sarebbe diventata una questione cruciale nel XXI secolo”.

L’ex ministro delle Finanze tedesco Oskar Lafontaine e Fabrizio Vigni

E quindi come ti definiresti oggi politicamente?

“Vediamo un po’. Sono uno che pensa che lo Stato deve regolare il mercato e orientare l’economia, che le politiche pubbliche devono contrastare le disuguaglianze sociali e promuovere occupazione, welfare, redistribuzione del reddito – obiettivi che hanno caratterizzato le politiche socialdemocratiche in Europa – ma al tempo stesso penso che molte vecchie ricette della Sinistra non funzionano più. Sono uno che pensa che la società italiana abbia bisogno di riforme liberali – più concorrenza, meno corporazioni, meno burocrazia, oltre che più diritti civili e una riforma della giustizia in senso garantista – ma al tempo stesso credo che riproporre oggi politiche blairiane sarebbe sbagliato. Penso che il solidarismo e la sussidiarietà siano linfa vitale per la società, anche se non vengo dalla storia dei cattolici democratici. E penso soprattutto che la sfida più grande del nostro tempo sia quella ambientale, che il futuro deve avere un cuore verde, pur sentendomi lontano anni luce da certe forme di ambientalismo minoritarie e fondamentaliste. Ecco, il PD avrebbe dovuto essere questo, una sintesi innovativa di culture politiche diverse: socialista, ecologista, liberale, cattolico-democratica. Ma non ci è ancora riuscito. L’altro guaio, enorme, è stata l’organizzazione del partito in correnti. Capi e capetti, fazioni, cordate di potere. Una gabbia micidiale. Insopportabile. Insomma, se guardo al PD così com’è non c’è da fare salti di gioia. Ha ancora la possibilità di essere il perno dell’Italia che verrà? Vorrei sperare di sì. Ma deve rigenerarsi”.

Qualche tempo abbiamo intervistato l’attuale segretario senese Andrea Valenti. Se non ti dispiace l’accostamento abbiamo rivisto in lui la tua pacatezza e l’intelligenza nell’esprimere i concetti. Ora lui forse non ha lo stillicidio di confrontarsi coi vecchi compagni, ma opera in una situazione di maggior difficoltà. Non si percepisce più la grande vittoria ottenuta per Giani e sembra che ci sia molta libertà dei grandi dignitari, ossia i sindaci più in vista… Quali sono le tue opinioni?

“Guarda, non sono in grado di esprimere opinioni precise sulla situazione politica senese. Vivendo lontano da Siena, troppe cose mi sfuggono. Comunque non avrebbe molto senso fare paragoni con un mondo che non c’è più. L’unica cosa che mi sento di dire della Sinistra senese – ma la stessa cosa è avvenuta un po’ ovunque – è che ha pagato il suo progressivo appiattirsi sulla sola dimensione del governo delle istituzioni. Sempre meno partito-società, sempre più partito-istituzioni. Intendiamoci, i sindaci e gli amministratori locali fanno un lavoro ammirevole, straordinario, in condizioni difficili. Ma un partito politico ha bisogno del radicamento sociale e territoriale come dell’aria. In forme del tutto nuove, diverse dal passato, ma questo è ciò che serve alla Sinistra e più in generale alla politica tutta”.

Fabrizio Vigni al Congresso del Pci nel 1989

Cosa pensi della scelta di Enrico Letta di correre senza partito e se convieni con noi che il collegio Toscana 12 non sia così “bulgaro” come vogliono rappresentarlo?

“Se mai ci sono stati, oggi non ci sono più collegi bulgari. Neppure in Bulgaria. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando, sotto il simbolo dell’Ulivo, Rosy Bindi ed io venivamo eletti quasi con il 70% dei voti. Quel che è certo è che quella di Letta è una candidatura forte, la migliore possibile. Enrico è una delle persone migliori che mi è capitato di conoscere prima in Parlamento e nell’Ulivo, poi nel PD. Per la sua serietà, la sua cultura, il suo sguardo aperto sul mondo. Ha fatto bene a non volere sulla scheda elettorale il simbolo del PD, perché la sua candidatura rappresenta un campo molto più largo. Potrà fare molto per Siena, ne sono certo”.

Ecco, possiamo concludere con una suggestione. SienaPost è un giornale strano. Forse per noi conta più la mission di far discutere su percorsi di unità i cittadini che le notizie che dà. La caduta di Mps resta per ora un lutto non risolto; e un grave danno economico. Dove, come e quando. Con che cosa e con chi… La città può riprendere a tuo parere un cammino di sviluppo?

“Anzitutto per quanto riguarda MPS c’è una partita ancora aperta che bisogna cercare di chiudere con il miglior risultato possibile. Certo, per Siena è un passaggio difficile. Se è un lutto, per riprendere la tua espressione, va elaborato. Non rimosso, direi in termini psicanalitici, ma elaborato. Guardando in faccia gli errori compiuti. Siena però ha le potenzialità, certo che ce l’ha, per avviare un nuovo cammino di sviluppo. Accanto ai punti di forza che non sono mai venuti meno – agricoltura di qualità, città d’arte e turismo, aree produttive, solo per citarne alcuni – penso che siano due le scelte strategiche principali su cui puntare. Una è il settore delle scienze della vita: ricerca, formazione, produzioni. L’altra si chiama green economy, transizione ecologica. Posso sbagliarmi, ma ho l’impressione, da lontano, che i senesi non si rendano conto della carta vincente che hanno tra le mani. Siena, per merito di una scelta lungimirante fatta quasi vent’anni fa, è già oggi una provincia a zero emissioni nette di gas serra. Come si dice, carbon neutral. Non so se è chiaro: la provincia di Siena è già oggi ciò che l’Europa si propone di divenire entro il 2050. Ci si rende conto? Non è solo un titolo di merito da sbandierare, è un asset fondamentale per il futuro. Siena può essere un punto di riferimento in Italia e nell’Europa del Green Deal. Altre città e altri territori pagherebbero oro, per avere in mano una carta così. Che può contribuire ad attirare investimenti privati e pubblici, imprese ad alto contenuto innovativo, attività di ricerca. A sviluppare progetti di simbiosi industriale e di economia circolare. Ad attrarre finanziamenti del PNRR, compresi quelli di “Transizione 4.0” per le imprese che fanno investimenti green. Parlo di economia, investimenti, ricerca, tecnologie di avanguardia. Di un valore aggiunto per le attività economiche già presenti sul territorio e di uno straordinario elemento di attrazione per nuove attività che possono nascere, crescere, svilupparsi. Insomma, un Green New Deal in salsa senese”.

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