Bene l’iniziativa ai Mutilati, ma Brenci e Lambardi devono ancora battezzare la narrazione definitiva
Sarò sincero. Una notte di cattivo sonno non mi ha aiutato a tirare le somme di cosa ho visto ieri pomeriggio all’incontro pubblico titolato “Serve ancora il Pd?”
Probabilmente perché un po’ di retorica nella domanda era contenuta e poi perché non c’erano conclusioni operative da trarre. E nemmeno mi hanno aiutato le parole di Pippo Lambardi, l’organizzatore incaricato della sintesi.
Alle 19:45 l’ora era giunta, il saluto era d’obbligo, se è emerso qualcosa con chiarezza, è da ricercare nell’iniziativa in sé, nel fatto che è stata convocata è tenuta. Sara il prosieguo a rendere chiara la direzione di marcia che Lambardi con il suo collega promotore Lorenzo Brenci prenderanno.
L’uno per la Schlein, l’altro per Bonaccini, ma uniti dal voler spender tempo per la verità.
Perché qui c’è una VERITA’ da affermare. Ora divenuta quasi golem spaventoso che riceve energia da il non compreso interno al partito.
Nelle due ore precedenti, gli interventi di Lorenzo Brenci e Filippo Lambardi appunto, seguiti da Roberto Beligni, Franco Gallerini, Paolo Mazzini, Marco Spinelli, Francesco Carnesecchi, Pietro Del Zanna, Fabio Ceccherini e Ilaria Saba.
A sentirli settanta persone – quasi tutti ex della politica o degli enti – che sono diventate novanta e che hanno concluso in poco più di quaranta, quasi a dare l’idea che in molti erano lì per risolvere una propria necessità, un’ALTRUI NECESSITA’.
Nella platea, c’era un uditore di prestigio – il segretario provinciale Valenti – ma neanche da lui otteniamo un commento sui social puntati quest’oggi sulla Palestina. Ci piacerebbe un giorno chiedergli come mai in dieci giorni ci sono stati tre appuntamenti targati Pd le cui presenze sono state simili solo per il 20% degli uditori.
Diremmo che è impossibile che si tratti di correntismo, quando non tutti hanno chiari riferimenti a Roma. Piuttosto è un problema di comune APPARTENENZA, ingigantito dal livore provocato da discutibili metodi usati negli ultimi anni per fare maggioranza nelle assise del Partito.
Un paio di settimane fa, a cena presso una famiglia borghese, istruita e contradaiola, pur non ragionandone nello specifico, rilevai che a quegli amici mancava il Pd. Mancava soprattutto un riferimento forte, potente e sicuro. Che aveva permeato le loro vite. A cui attaccarsi quando mancava un diverso SOSTEGNO.
All’inizio del settimo anno di “non governo”, travolti da crisi e congiuntura molti centri di potere, il Pd senese tutta quella forza non ce l’ha più. E bene non ha fatto chi ha diffuso quella cultura – stolida cultura la chiama Cuperlo – che presto ci sarà un “ritorno alla normalità”. E intanto le sedi dei circoli stentano a stare aperte – ASSENZA -, e intanto la politica di sinistra non si è attrezzata neanche per fare OPPOSIZIONE, al di là delle quattro manfrine a beneficio di siti e televisioni il giorno del Consiglio.
Come mai il Pd non lavora più come ha fatto per decine di anni? Il Pd – il Pds e il Pci prima – studia, dibatte, fa sintesi, approva documenti e su di essi pianifica i passi susseguenti. Cosa c’è di condiviso sulle due sconfitte elettorali di Valentini e Ferretti?
Brenci parla di un partito che deve indossare maglione e scarpe da ginnastica. Impegnarsi per far uscire dall’isolamento una Sienina sempre più provinciale che ha uno spazio e deve pretenderlo sull’asse Roma, Firenze, Bruxelles. Mazzini dice che Pd serve, se fa… il Pd. Spinelli parla di mancanza di rispetto e dell’importanza di Siena capoluogo per il resto della provincia, Ceccherini parla di circoli e sedi di partito in cui sono scomparsi i funzionari e che gli eletti modellano a misura delle necessità del momento.
Poi l’interruzione per fine del tempo. Nostro sentimento è che con questo incontro si sia voluto avviare un percorso, o forse è meglio dire una narrazione; il tenore delle cose dette è da assemblea interna, eppur si tiene all’esterno. Fra poco i due organizzatori torneranno con un’iniziativa tematica. Per loro il Pd serve ancora. E tanto.