Riccardo Caliani, unico reduce ad avere ruoli in Mens Sana, la giornata con Marco la vede importante per il futuro
Siamo nella settimana che porterà all’ultimo incontro veramente importante di questa fase per la Note di Siena Mens Sana. Sabato con il Pino Firenze. Perdendo venerdì sera in casa con Agliana il Don Bosco ha probabilmente perso anche il diritto di venire a Siena a contendersi due punti buoni per la seconda fase. Il quarto posto probabilmente sarà cosa fra i pistoiesi e il Pontedera che ha violato il “Palaghiaccio” della Sancat.
Se Siena, sabato, batterà ancora i fiorentini partirà da dieci punti, già capolista prima di giocare; potrà stargli alla pari solo il Costone purché Montevarchi riesca a difendere la posizione da Sansepolcro e Livorno.
Per calamitare pubblico ed entusiasmo, Note di Siena ha battezzato sabato come il “Giorno di Marco Crespi”, il coach dell’ultimo campionato in serie A. Dieci anni fa la Mens Sana Basket però era parecchio diversa da quella attuale. Un livello molto diverso, un’organizzazione diversa, una gloria diversa.
Diversa era anche la prospettiva e la visione del futuro, perché se è vero che siamo a livelli infimi rispetto ad allora, oggi il futuro appare di potenziale crescita, mentre quell’anno che quotidianamente c’era qualcosa in meno o doveva esser ritirata un’ingiunzione, il futuro era già scritto… E nonostante lottammo per uno scudetto che c’avrebbero comunque tolto fino alla settima di finale play-off.
L’unico superstite con ruolo attivo di quella Mens Sana oggi è il Riccardo Caliani. Team Manager allora, General Manager adesso. Il cuore non gli ha permesso di staccarsi dal PalaEstra e anche quest’anno sembra pronto a percepirne i frutti dato che la non scontata salvezza ora è risultato acquisito.
Direttore, per prima cosa dobbiamo sgridarti… E non chiedere perché? Lo sai. La scorsa settimana ti abbiamo intervistato e non ci hai detto niente di questo Crespi Day. Potevi “spoilerare” almeno qualcosa. Oppure lo hai fatto apposta per essere intervistato due volte?
“Nessuna delle due. Semplicemente non c’erano domande che mi hanno fatto venire in mente questa cosa. E poi è stato meglio così. Altrimenti avremmo rischiato di mischiare troppo il presente e il passato. Cosa che dobbiamo cercare di evitare di fare”.
In che senso?
“Quella stagione, così come le precedenti storiche e trionfali, è stata bellissima da vivere, ma appartiene a un glorioso passato oggi distante da noi e per certi aspetti anche fuorviante. Il passato serve, ma come dice un mio carissimo amico, adesso guardiamo solo avanti. Chi è l’amico? Non ve lo dico”.
Va bene, però dicci come è nata l’idea di riportare Marco Crespi a Siena per un “Suo Giorno”.
“Con Marco siamo in contatti frequenti, oltre che per l’amicizia che ci lega, anche grazie all’accordo che abbiamo fatto con Aquila Basket Trento per lo sviluppo del settore giovanile. L’idea è nata parlando con il Presidente Frati e con Binella. Invitare Marco per farlo conoscere ai nostri allenatori ed ai nostri ragazzi e perché no, farlo riabbracciare da tanta gente che lo ama ancora oggi. E così ho scritto un messaggio a Marco con questa idea e per sapere se era disponibile a venire”.
La sua risposta?
“Quanto mi piace. Grazie”.
A questo punto però non possiamo esimerci dal riportarti indietro di 10 anni con la mente. Come si può raccontare quella stagione 2013/14, dove non c’era una certezza se non quella che tutto – forse – sarebbe finito per sempre? E la capacità di Marco Crespi di finalizzare all’impegno agonistico questa rabbia diffusa… Da che parte si comincia?
“Credo che ognuno di noi abbia la propria “versione” della storia da raccontare. La mia è quella di un giovane dirigente, che ha avuto la possibilità di vivere delle emozioni forti. Molto belle e molto brutte. Una stagione estrema, per il suo romanticismo e per la sua drammaticità. Faccio fatica a raccontarla, perché le emozioni prendono subito il sopravvento, ed allora perdo il filo logico. O forse semplicemente un filo logico non c’era in quello che stavamo facendo. Il finale lo conoscono tutti, ma il viaggio è stato qualcosa di veramente incredibile”.
Già, il finale, quella palla che gira sul ferro in gara 6 di finale la sogni ancora?
“No. Ormai è acqua passata. Evidentemente doveva andare così. Chi fa sport deve saper accettare ciò che il destino sportivo ti riserva. Se non impari ad accettarlo, meglio che smetti subito”.
Tra l’altro, a conti fatti, anche se quel tiro fosse entrato, lo scudetto ce lo avrebbero revocato comunque…
“Lasciamo perdere. Le emozioni non si revocano. Se quel tiro fosse entrato la storia da raccontare sarebbe potuta essere diversa. Ma ripeto, inutile parlare del passato. Mi tengo stretto il viaggio ed i compagni di quel viaggio, con molti dei quali siamo amici o comunque ancora in contatto. Così come mi tengo stretta l’esperienza degli anni precedenti, nei quali ho avuto l’opportunità di far parte di una società ai massimi livelli europei. Ho provato ad imparare più cose possibili da un’organizzazione che funzionava alla perfezione e da professionisti di grande spessore”.
Tu in quella stagione eri il Team Manager della Prima Squadra. Quindi l’uomo al servizio dei giocatori. Con chi sei rimasto in contatto?
“Beh con diversi di loro ogni tanto ci sentiamo. Con gli italiani è più facile, ma anche gli stranieri li sento ogni tanto. Ci siamo sentiti con Marquez Haynes l’estate scorsa perché doveva venire in vacanza a Siena ma poi non è venuto. Ho scritto ad Othello Hunter quando ho letto del suo ritiro e mi ha risposto subito. Durante il periodo del Covid abbiamo fatto una call con tutto lo staff della Academy con Spencer Nelson, che all’epoca faceva l’assistente allenatore in un college americano. Anche con Janning ci sentiamo spesso. Tutti sono rimasti molto legati a quell’esperienza senese”.
In cosa Marco Crespi è stato speciale in quella stagione?
“Credo che sia stato un insieme di cose. Siamo stati bravi, Marco in primis, a creare un habitat nel quale ci sentivamo protetti nonostante fuori stesse accadendo di tutto. Ricordo lunghe chiacchierate, anche durante le trasferte, con gli altri dello staff, ci sentivamo in famiglia. Non so come spiegarlo. Eppure la stagione non fu tutta rose e fiori. L’Eurolega a Firenze finì presto, un minuto dopo la sconfitta con Malaga, con canestro sulla sirena di Granger, dovemmo salutare Daniel Hackett, che senza nulla togliere agli altri, era il nostro giocatore simbolo. In molti pensarono che sarebbe stata la fine ed invece il gruppo seppe reagire, grazie al coach, ai veterani come Ress, ma anche grazie ai nuovi, come Janning e Haynes, che ci dettero nuova spinta. Ricordo la grande tensione che precedette la partita di Regular Season contro Reggio Emilia, stavamo attraversando un momento delicato e quella vittoria svoltò la nostra stagione portandoci fino al secondo posto al termine della stagione regolare”.
E poi i playoff. Una cavalcata splendida, purtroppo però senza lieto fine…
“Si, furono playoff speciali. Anche se la cavalcata non iniziò benissimo, dato che perdemmo una delle prime due in casa dei quarti di finale contro Reggio Emilia. Andammo sotto 2-1 e con le spalle al muro a Reggio vincemmo gara 4. Anche quella vittoria fu quella della svolta. Il pomeriggio pre-gara 4 me lo ricordo benissimo. Non sapevamo se Othello Hunter avrebbe giocato o meno, perché aveva un problema fisico. Prima di entrare in campo Othello fece un discorso alla squadra che ci colpì molto. Alla fine giocammo una signora partita e chiudemmo poi i conti in casa. La semifinale con la Virtus Roma fu relativamente facile. E poi la finale con Milano che tutti sappiamo com’è andata”.
Che il Caliani Gm dica che non si devono fare raffronti è giusto, ma che il Caliani allora protagonista racconti qualcosa in più magari ce lo aspettiamo… Ad esempio, promettiamo di non dirlo a nessuno… Ti è capitato in quella stagione di fare qualche “cavolata”? Tanto ormai sono passati 10 anni… sarebbe comunque andata in prescrizione…
“Ve ne racconto una. Bella. Che Marco credo neppure sappia. Trasferta a Sassari, partiamo la sera prima della partita con aereo da Roma e decidiamo di dormire in un hotel ad Alghero, un po’ distante da Sassari. Marco mi chiede di trovare un campo per fare seduta di tiro la mattina vicino all’hotel. Chiamo un amico sardo, dirigente di una squadra locale che mi trova una palestra, per le 10 di mattina, carina, con parquet. Ma mi sottolinea che ci gioca solo il femminile e quindi i palloni del maschile non c’erano. Nessun problema, li portiamo da Siena, sgonfi perché in aereo gonfi non li fanno salire, ma in palestra c’è il compressore. Ci penso io. Mentre stavamo sorvolando il Mar Tirreno ho un flash… mi ero dimenticato di prendere i palloni… Attimi di terrore, poi inizio ad elaborare idee su cosa potessi fare per non essere linciato in piazza la mattina successiva. Mi viene un’idea, complessa, ma forse l’unica percorribile…”
“Atterriamo ad Alghero – continua Riccardo – e chiamo subito il mio collega Team Manager di Sassari e gli chiedo di prestarmi 6 palloni la mattina dopo, pur sapendo che anche Sassari aveva la seduta di tiro alla nostra stessa ora. Lo supplico, alla fine lo convinco, inventando che non ce li avevano fatti salire in aereo. Il problema era come fare ad andarli a prendere, perché lui non era a Sassari quella sera e noi eravamo a quaranta minuti di macchina ma… senza macchina. Allora decido di noleggiare una macchina per le 6 della mattina successiva. Chiedo al collega di Sassari di far venire il custode del PalaSerradimigni alle 7.30 per darmi i palloni e quindi in tempo per tornare per non mancare a colazione con lo staff alle 8.30. Incredibilmente trovo la macchina da un “rent a car” di Alghero, la mattina parto e vado a Sassari. Arrivo al PalaSerradimigni e stavano montando i banchi del mercato. Convinco un vigile a farmi passare, attraverso i banchi del mercato ed arrivo al palasport. Prendo i palloni e riparto. Torno in hotel per le 8.20. Ero salvo… Entro in hotel e trovo Jacopo Menghetti, il Direttore Sportivo, al quale confesso tutto. Ma tanto ormai ero salvo… Andiamo a fare tiro alla palestrina. Alessandro Magro, sempre attento a tutto e che sapeva che avremmo dovuto portare i palloni da Siena mi dice: “Ma questi palloni non sono i nostri…” Lascia stare Ale. Ho trovato una soluzione migliore… E da buon amico, né lui né altro indagarono ulteriormente”.
Non male davvero. Forse un libro di aneddoti potreste scriverlo veramente. Tornando a noi: chi possono essere degli eroi positivi di quella stagione, a cui la storia non ha dato la visibilità che avrebbero meritato al pari di Crespi, Magro etc…?
“Non voglio fare torti a nessuno. Ma mi vengono in mente due nomi: Sebastiano Cencini (fisioterapista) e Carlo Voltolini (preparatore fisico). Cito loro non perché altri non lo meritino altrettanto, ma perché con loro ho stretto un legame di amicizia speciale. Abbiamo vissuto una stagione in totale simbiosi. E’ difficile da spiegare cosa significa far parte di uno staff che viaggia tanto, sta insieme tanto, vive tante emozioni contrastanti, condivide gioie e dolori. Chi lavora nell’ombra ha meno visibilità, ma il contributo di tutti è fondamentale per il risultato finale”.
Facciamo un breve excursus su un argomento che so essere importante per Marco Crespi e per te. I famosi tornei di Ping Pong di cui Crespi parla anche nel suo libro #somethingdifferent… esiste una classifica occultata?
“Assolutamente no. La storia del ping pong nacque per caso la stagione precedente, quando Marco era assistente di Luca Banchi. In pausa pranzo iniziammo a giocare in un locale che aveva il tavolo. Facevamo spesso il doppio: Banchi-Crespi contro Caliani-Cappelli. Si sviluppò ben presto un leggerissimo concetto di competitività che sfociava spesso in trash talking aggressivo e che coinvolse anche altri dello staff. Il ping pong divenne la nostra valvola di sfogo e proseguì anche la stagione successiva, quando Marco decise di acquistare un tavolo per metterlo al PalaEstra. A quel punto cominciammo a giocare più singoli che doppi e con Marco erano ogni giorno sfide agguerritissime. Giocavamo sul campo centrale. Peccato non ci siano filmati, perché a parole è difficile raccontare quello che succedeva”.
Si, ma chi vinceva più spesso?
“All’inizio io, che forse avevo un po’ più di “talento” che mi proveniva da un back ground nel quale avevo giocato molto a casa con mio fratello Federico. Poi con il passare del tempo Marco, oltre a migliorare tecnicamente, imparò ad entrarmi sotto pelle. E diciamo che vinceva spesso anche lui”.
Cosa sa, secondo te, Marco Figus di Marco Crespi?
“Ah beh. Questo davvero non lo so. Se per Marco Figus intendi proprio lui, penso che ne sappia abbastanza, dato il suo legame profondo con la Mens Sana. Nel 2014 aveva 9 anni. Forse qualcosa si ricorda. Se per Marco Figus intendi i ragazzi che oggi hanno 14, 15 o 16 anni, davvero non lo so. Penso che anche solo per curiosità abbiano letto e sappiano qualcosa. Ma di certo non potranno avere la stessa emozione di chi quei momenti li ha vissuti”.
C’è qualcosa che vuoi dire di quella stagione ma che non ti abbiamo chiesto?
“Si. Tutti quanti, ripensando a quella stagione 2013/14, pensiamo al finale, al commovente congedo di fine stagione da una squadra che aveva sfiorato l’impresa leggendaria. Al rientro da Milano dopo gara 7, persa, una marea di gente ci attendeva nel parcheggio del palasport. Ma mi piace ricordare anche che a settembre vincemmo la Supercoppa Italiana contro Varese, e che a febbraio 2014, andammo vicini a vincere la Coppa Italia, battuti in finale dalla Dinamo Sassari. Anche quella fu una tappa nella quale capimmo che ce la saremmo potuta giocare fino alla fine come poi è stato”.
Per chiudere. Chi, tu, Caliani, vorresti avere accanto per accogliere quel giorno Marco Crespi?
“Che domanda difficile…onestamente non vorrei fare un torto a nessuno. Mi piace l’idea che tanti ragazzi che magari non hanno avuto la fortuna di conoscere Marco a quei tempi possano farlo, anche se solo per poco tempo, il 3 febbraio. Per questo abbiamo organizzato, oltre al saluto che Marco farà prima della partita, una riunione con i nostri allenatori e alcuni allenamenti per i nostri ragazzi. Penso possa essere una preziosa occasione di arricchimento per tutti”.