Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Claudia Cardone, esperto Ocse per le Politiche di Innovazione Esperto CRUI, QUASNG, ANVUR per i Sistemi AQ.
I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme per l’Europa e il mondo. Per superare queste sfide, il Green Deal europeo trasformerà l’Unione Europea in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, garantendo che:
• nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra
• la crescita economica sia dissociata dall’uso delle risorse
• nessuna persona e nessun luogo siano trascurati.
Rispetto a ciò, un terzo dei 1.800 miliardi di euro di investimenti del piano per la ripresa di NextGenerationEU e il bilancio settennale dell’UE finanzieranno il Green Deal europeo.
L’efficientamento energetico, quindi, è il principale strumento per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla regolamentazione europea sull’energia e il clima; l’Unione europea ha infatti fissato il primo obiettivo di riduzioni delle emissioni di CO2 ad almeno il 55% per il 2030 (rispetto al 1990) e l’Italia potrà contribuire con oltre 50 Mt di emissioni in meno nel 2030 rispetto al 2020.
Al fine di evitare che a livello nazionale i finanziamenti messi a disposizione dall’Europa decadano è necessario garantire un maggior coordinamento fra le politiche previste da Green Deal e quelle individuate nel PNRR 2021 che, con lo strumento “Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica”, stanzia 68,6 miliardi con gli obiettivi principali di migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico e assicurare una transizione ambientale equa e inclusiva.
Il Green Deal, se implementato e sostenuto dà efficaci politiche e finanziamenti nazionali. Produrrà nel 2030, nel solo settore elettrico, 90.000 nuovi occupati, 100Mld/euro di investimenti e 50Mt/CO2 evitate, ma con l’attuale trend – basato sull’evidente insuccesso dei bandi del decreto FER 1 -, gli obiettivi fissati al 2030 saranno raggiunti al 2085.
Gli impianti di energia rinnovabile da realizzare per raggiungere il target Green Deal 2030 sono quantificabili in +6,5 GW anno, mentre la capacità rinnovabile nazionale al 2020 è di + 0,8; va quindi sottolineato e contemporaneamente posto come premessa a tutto quanto sopra evidenziato, che uno dei motivi che rendono impossibile realizzare a oggi la transizione ecologica e mettere a frutto i finanziamenti stanziati dal PNRR è la lentezza e la complessità delle pratiche autorizzative rilasciate da parte degli organi competenti, governativi e territoriali, in particolar modo dalle regioni (fra i quali la Toscana, con le province e i comuni afferenti, è in primo piano).
La principale complessità a ottenere autorizzazioni si palesa con i vincoli ambientali e paesaggistici in capo alle Sovrintendenze; per i progetti di maggiore entità è richiesta la VIA, Valutazione di Impatto Ambientale, che prevede almeno due anni di tempo e costi molto significativi prima ancora di avviare i lavori, Questo scoraggia molti investitori dal sviluppare progetti e pratiche, dall’esito lungo e incerto: per progetti di impianti eolici di grandi dimensioni una pratica autorizzativa può richiedere fino a 7 anni dalla prima presentazione.
E’ evidente che i valori paesaggistici e naturali del territorio vadano tutelati e preservati, anche a fronte di importanti progetti di energia da fonti innovabili, ma è innegabile che per avvicinarsi agli obiettivi di decarbonizzazione sia indispensabile semplificare questi iter e dare dei tempi certi agli investitori.
Si profila, quindi, la necessità che a livello territoriale, gli organi competenti individuino specifiche aree idonee allo sviluppo delle energie rinnovabili, per le quali le pratiche autorizzative siano gestite celermente.
In queste aree potrebbero ricadere, oltre alle zone agricole di minor pregio culturale e paesaggistico, anche le cave e le aree industriali dismesse, i siti inquinati (per i quali si dovrebbero prevedere incentivi pubblici per il risanamento), le zone vicine a grandi infrastrutture viarie, ecc.
Anche lo stesso strumento del superbonus, messo in atto dal governo, permetterebbe di generare valore in maniera trasversale su base annua, 10Mld/euro/anno (fino all’1% del PIL), una riduzione dei consumi energetici civili fino al 25% e soprattutto fino a 20 Mln/ton/anno di riduzione di Co2, se solo fossero messe in atto politiche e riforme in linea con il Green Deal.
Inutile, infatti, stanziare finanziamenti per efficientamento energetico laddove è proibito istallare pannelli solari, oppure investire nei veicoli elettrici quando la fonte dell’energia di cui quest’ultimi si riforniscono non è rinnovabile perché mancano centrali a biogas, biomasse, eoliche, fotovoltaiche e geotermiche (ciò emerge soprattutto nella provincia e nel comune di Siena)
A fronte di ciò il MiBACT (Ministero Beni Culturali e Ambientali), unitamente alle Sovrintendenze, dovrebbe adottare velocemente criteri di impatto paesaggistico coerenti con gli obiettivi della nuova potenza rinnovabile richiesta dalla UE: non ci potrà essere transizione ecologica senza che il MiBACT si rinnovi, condividendo target e progetti dettati dal Green Deal (previsti dallo stesso PNRR nazionale) al fine di supportare il nostro territorio ed evitando che i finanziamenti messi a disposizione dall’Europa risultino impossibili da spendere e quindi decadano a causa dell’arretratezza della nostra burocrazia.
Claudia Cardone