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venerdì, Marzo 29, 2024

Al Chiesino dei Tufi, far casa con Gesù

Si chiama Bethel che in ebraico significa “Casa di Dio”. E’ questo il nome che si è data la comunità di famiglie di Siena che, ormai dal 2014, vive un’esperienza di vita fraterna fondata sulla parola di Dio. Si tratta di un gruppo di persone che, dopo un percorso durato degli anni, ha deciso di fondare un’associazione basata sui valori cristiani per condividere non solo un cammino di fede ma anche un’intera vita.

Dopo la creazione dell’associazione, con il suo proprio atto costitutivo e statuto, queste coppie di coniugi si sono date una vera e propria regola di vita. Una regola basata sulla condivisione, sul perdono, sul dialogo e sull’accoglienza.

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Il Chiesino dei Tufi

Ho saputo di questa realtà qualche tempo fa, quando, facendo una camminata nella splendida campagna appena fuori Porta Tufi, mi sono fermata nel piazzale del “Chiesino” per riposarmi e contemplare nella pace il paesaggio intorno a me.

La mia attenzione è stata attratta da una piccola lapide sul muro con la scritta “Bethel, comunità di famiglie di Siena”. Incuriosita, ho chiesto informazioni e, solo girando dietro l’edificio della chiesa, ho scoperto un mondo.

Un mondo direi quasi incantato costituito da alcune case tenute con cura, immerse in un bellissimo prato e circondate da ulivi, fiori e due orti. E mi sono detta: questo è davvero un mondo parallelo! Un bellissimo mondo parallelo, proprio a due passi da casa mia!

Ed ho sentito la necessità di conoscerlo questo mondo, di sapere come un gruppo ristretto di persone, ormai non più giovanissime, fosse riuscito a lasciare la sua vecchia esistenza per intraprenderne una nuova, illuminata dalla propria fede e dai propri sogni di vita comunitaria e fraterna.

Ho conosciuto Francesco e Luisa Giardini, Roberto e Benedetta Cappelli, Marcello – detto Gigi – e Angela Aurigi, che sono le coppie residenti nella comunità, in un caldo pomeriggio estivo. Oltre a loro, ci sono anche Simone e Giuseppina Carboni, Ciro e Annalisa De Mauro, Anna Bartalini, Marco e Loredana Bracali che vivono il percorso intrapreso da Bethel pur non essendo residenti negli spazi comuni.

Mi hanno accolto con entusiasmo e semplicità. Ci siamo seduti in cerchio nel piazzale dietro al Chiesino, di fronte alle loro case ed abbiamo iniziato a parlare.

Chiara Bennati con alcuni appartenenti alla comunità di famiglie Bethel

“Il nome che ci siamo dati è Bethel – inizia Roberto – che, appunto significa casa di Dio. Abbiamo impiegato molto tempo per trovarlo ed alla fine questo ci è sembrato perfetto. La casa di Dio è un luogo permanente di comunicazione fra cielo e terra, che non avviene in un tempio costruito da mano d’uomo, ma nel tempo, dentro alle relazioni interpersonali di fratelli e di famiglie”.

“La nostra umanità – continua – è per Dio la porta del Cielo, cioè la possibilità che Lui discenda attraverso di essa e prenda dimora in ciascuno di noi e nelle nostre relazioni così come sono. Facendo Casa con Gesù possiamo così aprirci a cose maggiori che tante volte ci precludiamo per schemi ed abitudini che ci bloccano. Ed anche il logo che rappresenta questa realtà, creato da Loredana, è esplicativo di questo concetto che mi sta raccontando Roberto: due case, una dell’uomo in basso ed una di Dio in alto, unite, collegate tramite un’ampia scala che in realtà è la relazione fra di noi. Le relazioni umane sono i pioli di questa scala che è al centro di tutto e che collega la Terra al Cielo ed il Cielo alla Terra. Come nell’incarnazione di Gesù”.

Ma come è nata questa esperienza?

Chiedo sempre più incuriosita ed ammirata, soprattutto dal fatto che a fare questa scelta siano state persone già adulte, con una vita già vissuta ed impostata alle spalle. Persone che sono riuscite a rompere gli schemi ed i timori e a portare in Terra il loro sogno di intraprendere un cammino fraterno, condiviso in una vera e propria comunità.

“E’ stata una scelta ben ponderata e che è scaturita da un lungo percorso – riprende Roberto.- Ci sono voluti 10 anni. Ci incontravamo tutti i mesi. Ad un certo punto ha iniziato ad affiancarci nei nostri incontri un sacerdote che veniva da Milano, Don Cosimo Romano, che ci ha aiutato ancora a chiarire le nostre idee e ci ha spinto verso questa scelta. Approfondivamo con lui vari temi: la regola di San Benedetto, Sant’Ignazio di Loyola, il Vangelo di Marco e molte altre cose sempre legate al discorso della vita comunitaria. Dopo questo cammino ci siamo sentiti pronti per fare il grande salto e cambiare realmente le nostre vite”.

“In questo – prosegue -ci ha dato una grande mano il Vescovo di allora, Antonio Buoncristiani, che ci ha aiutato nella ricerca di un luogo dove poter cominciare a vivere insieme. Trovammo insieme questo posto, che era stato ristrutturato da poco ma che era rimasto inutilizzato e circondato da un terreno incolto ed abbandonato. Era perfetto per noi – dice sorridendo. – Dunque, ci siamo trasferiti qui ad agosto 2014”.

Come è strutturato questo posto?

“Ci sono cinque appartamenti – continua -. Di questi, quattro sono abitati da noi ed uno usato come accoglienza. L’accoglienza, infatti, fa parte della nostra regola di vita. Abbiamo poi costituito una associazione privata di fedeli, riconosciuta dal Vescovo, che è il soggetto unico a cui fare riferimento. Mettiamo in comune una parte dei nostri stipendi per il pagamento degli affitti, delle utenze, degli strumenti per la manutenzione degli spazi e generi alimentari di base. Abbiamo fatto anche uno Statuto e, come dicevo prima, un vero e proprio regolamento interno per darci degli indirizzi specifici nella nostra vita comunitaria. Una regola di vita che si basa sulla centralità di Cristo, sulla fratellanza, sulla preghiera, sul perdono, sulla comunione dei beni e del lavoro, sulla semplicità”.

Una vita comunitaria ispirata alla vita cristiana degli Apostoli. Una testimonianza vivente anche alla chiesa locale che questo tipo di esistenza è fattibile e replicabile anche ai giorni nostri, che non è un’utopia. Una vera e propria Chiesa vivente, senza tante sovrastrutture.

“Qui noi cerchiamo di condividere la nostra vita – continua Roberto -. Mettiamo in comune delle nostre cose, preghiamo insieme. Facciamo una preghiera giornaliera insieme, lodi la mattina e vespri la sera. Poi facciamo una preghiera comunitaria settimanale più approfondita il mercoledì in cui si leggono le letture della domenica successiva e dopo una cena comunitaria. E questo è un momento aperto a tutti. In più facciamo anche un incontro mensile di formazione più approfondito con la nostra guida spirituale che è don Cosimo Romano. Ogni anno portiamo avanti degli argomenti specifici, ma prendiamo anche decisioni sulla vita comune o condividiamo le nostre vite più personali. Oltre a questi momenti di riflessione e preghiera ci occupiamo anche dello spazio verde che ci circonda. C’è un ettaro e mezzo di terra. Ci sono due orti, uno per le patate ed uno per il resto, 90 ulivi, tanti fiori, una piccola vigna. Ci siamo suddivisi i lavori. Poi ovviamente, ognuno di noi ha la sua propria vita. Alcuni lavorano ancora, altri sono in pensione. Abbiamo anche riaperto la Chiesa. Don Gaetano Rutilo viene a celebrare la messa una volta al mese, e questo ha permesso il riavvicinamento anche di alcune persone che vivono qui vicino”.

“E’ una scelta di vita che siamo felici di aver fatto e che continuiamo a vivere con immenso piacere – dice Angela –. Ovvio che ci sono anche difficoltà e momenti difficili. La cosa più complicata con cui abbiamo dovuto fare i conti sono state le nostre diversità. A volte è stato più complicato mettersi d’accordo su come fare certe cose. Ma anche questo rientra nella regola di vita che ci siamo dati che mette al centro l’accoglienza e l’accettazione. Anche e prima di tutto di noi e delle nostre diversità. Accoglienza e ascolto. Ascolto e perdono. Perdono e fraternità. In realtà questo è un cantiere sempre aperto, che pensiamo non chiuderà mai. Ma è anche proprio questo il bello di questo viaggio che abbiamo intrapreso insieme”.

A proposito di accoglienza, mi raccontate come utilizzate questa quinta casa che lasciate libera per ospitare persone bisognose o che vivono un momento di difficoltà?

“Abbiamo ospitato varie persone – risponde Gigi –. All’inizio ci sono stati rifugiati, soprattutto africani, che avevano finito il percorso istituzionale ed erano senza lavoro e senza casa. Qualcuno per 8 mesi, qualcuno per 4. Abbiamo provveduto ai loro bisogni con la nostra cassa comune. Li abbiamo anche aiutati a cercare lavoro e ad integrarsi nella società. Poi abbiamo ospitato una signora con un bambino che è rimasta un anno e mezzo. Lei era venuta qui a studiare ma poi era rimasta incinta ed era stata mandata via dalla casa dello studente ed era sola. La cosa bella – prosegue – è che siamo ancora in contatto con tutti quelli che sono passati di qui”.

Accoglienza vera, dunque, senza tante sovrastrutture altosonanti. Semplice. Fatta di sentimenti veri e spontanei. Ma come arrivano queste persone bisognose qui?

“Cerchiamo di stare in rete – dice Angela -. Siamo in contatto con la Caritas che ci segnala dei casi e anche con gli assistenti sociali”.

“Questa accoglienza è un dono anche e soprattutto per noi – interviene Luisa –. Sono rimasti dei legami molto stretti con queste persone. Siamo tuttora in contatto ed è bellissimo e molto appagante. In questo momento – conclude – abbiamo ospite una mamma di origini rumene con una figlia che avevano bisogno di appoggio su Siena per fare delle cure piuttosto impegnative in ospedale. Lei ci è stata mandata da un’assistente sociale di Colle”.

Esperienze veramente belle e commoventi. Esperienze che rendono il Vangelo non un testo sacro da leggere e studiare, ma un Corpo davvero vivente, un cuore pulsante.

Una mano sempre tesa verso il prossimo. Ma anche una mano pronta a prendere per mano anche gli altri compagni di viaggio…

“In questi anni siamo stati molto di sostegno gli uni per gli altri – dice Francesco –. Anche noi abbiamo vissuto a volte nelle nostre rispettive famiglie dei momenti molto difficili e pesanti. Insieme siamo riusciti ad affrontarli in modo più semplice, sia dal punto di vista pratico che morale. Siamo davvero una famiglia allargata”.

“Abbiamo in programma – prosegue – di fare accoglienza anche dal punto di vista pastorale. Accoglienza di coppie, fidanzate o sposate, che magari stanno vivendo un momento di crisi e hanno bisogno di ritrovare un po’ se stesse o che vogliono semplicemente fermarsi e fare un momento di riflessione. Tutto questo anche grazie alla vicinanza del nostro consigliere spirituale, Don Cosimo Romano, attualmente parroco di Monteroni d’Arbia. Uno spazio per ritirarsi un attimo e centrarsi”.

Il sole sta iniziando a calare e si alza una lieve brezza che mi scompiglia i capelli. Sto per salutare Bethel e questo piccolo angolo di paradiso immerso nella campagna ma davvero a due passi da Piazza del Campo. Ma prima di andare via pongo a queste persone così serene, dolci e accoglienti, le mie due ultime domande.

Se doveste dare un consiglio a qualcuno che come voi ha un sogno nel cassetto e deve intraprendere un percorso per realizzarlo, cosa direste?

“Quello che mi sento di dire – inizia Gigi – è di buttarsi, di non rinviare. Perché se si aspetta di avere le condizioni perfette non si fa mai niente. Affidamento nel seguire il proprio cuore e partire”.

“Costruirsi una rete intorno – incalza Roberto –. Per non sentirsi poi soli nei momenti più difficili. E magari fare prima insieme un periodo di discernimento per capire meglio cosa fare e come fare”.

Francesco Giardini

“Vincere la paura – prosegue Francesco –. La paura e tutti i legacci, chiamiamoli così, che ci tengono legati alla nostra zona di comfort, alla vita già impostata. Superare i limiti delle nostre abitudini. Bisogna costantemente mettersi in discussione e credere che ci possa essere sempre qualcosa di più”.

E questo lo dicono loro, le coppie di Bethel, persone che hanno avuto il coraggio di farlo questo salto nel vuoto non a 20 anni quando si ha ancora una vita intera da costruire, ma da adulti, con un bel pezzo di vita alle spalle. Hanno seguito il loro cuore e la loro fede e hanno avuto la forza di lasciare tante cose e situazioni della loro vecchia vita per rendere reale un sogno. Un po’ come hanno fatto i primi Apostoli, seguendo la chiamata di Gesù.

E se doveste definire con una parola questo vostro sogno realizzato, che parola direste?

“Relazione, condivisione, fraternità” mi rispondono. Non una parola, ma tante parole. Diverse. Così come sono diverse l’una dall’altra le persone di Bethel. Diverse ma aperte. Aperte proprio ai diversi modi di vedere le cose. Pronte a tendere la mano, ad accogliere.

Persone che hanno scelto, con la consapevolezza dell’età ormai adulta, di provare a portare qui sulla Terra il loro ideale di vita. Persone che si sono abbandonate al cammino che gli ha indicato la loro fede, il loro cuore.

Mi allontano a malincuore da questo luogo di pace e bellezza. Bellezza della natura. Ma anche e soprattutto bellezza delle anime con cui ho trascorso questo pomeriggio estivo.

Io Sono. Diceva Gesù. Ieri, oggi e sempre. E stasera qui ho respirato questo: un Gesù Vivo. Un Gesù fatto non di chiese piene di incenso ed affreschi, di riti vuoti e senza anima. Qui ho trovato un Gesù fatto di un pasto condiviso, di una mano che tiene la mano dell’ultimo degli ultimi, di un sorriso, del perdono, della semplicità. Un Gesù che E’.

Chiara Bennati

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