Ho conosciuto la storia di Roberto “per caso” parlando con sua mamma. Sempre “per caso” ho scoperto che il libro che aveva scritto raccontando il suo percorso, “Per fortuna ho perso il lavoro” – https://www.portoseguroeditore.com/prodotto/per-fortuna-ho-perso-il-lavoro/ -, era stato edito dalla stessa casa editrice che ha pubblicato il mio romanzo – Un pomeriggio di stupore – SienaPost -. Allora mi sono detta: “il caso” mi sta rivelando che può essere lui il mio prossimo mondo parallelo – Vi prometto le mie cronache dai mondi paralleli – SienaPost.
Roberto Angelini, un ragazzo come tanti, un senese, un contradaiolo, che a un certo punto, complice la vita con i suoi cambi repentini, ha deciso di prendere l’aereo e partire. Partire senza una meta precisa, senza un programma. Partire per un viaggio, che forse non finirà mai. Un viaggio fisico nel mondo, ma anche e soprattutto un viaggio dentro sé stesso. Un viaggio a volte difficile ma sempre appassionante.
Ci siamo sentiti per telefono perché ora Roberto è in Olanda al lavoro. Una lunga, piacevolissima chiacchierata, come due vecchi amici. Chissà, quando tornerà a Siena, perché Roberto torna comunque di tanto in tanto a Siena dalla sua famiglia e dai suoi amici, magari potremmo replicare dal vivo. Sorseggiando un caffè o un aperitivo in Piazza del Campo.
“Ciao Chiara! – mi risponde con voce squillante – Aspettavo la tua chiamata!”
Non so davvero da dove cominciare, ho tante domande da fargli. Ma la prima che mi viene in mente è proprio il suo libro. Come è nato?
“Beh, definirlo libro forse è esagerato – inizia Roberto –. Arrivato a 40 anni ho deciso di provare a tirare fuori qualche pensiero relativo alle esperienze che avevo fatto. Era il periodo brutto del lockdown, ero a casa, e dunque di tempo a disposizione ne avevo tanto. Così ho iniziato a scrivere quello che mi passava per la testa. Proprio come uno zibaldone, scrivendo a mano, neanche al computer. Questo per me, ma anche per lasciare qualcosa agli altri, magari sperando di poter aiutare persone che si trovavano in momenti di svolta come era successo a me”.
Raccontacela allora questa tua esperienza, anzi sarebbe meglio dire queste tue esperienze. Come è iniziato questo tuo cambiamento? Cosa è successo?
“Io sono un ragazzo come tanti, avevo una vita chiamiamola regolare, normale, anche se normale in realtà è un qualcosa che non esiste. Ero cresciuto a Siena, dove ho radici e amicizie. Mi ero laureato, avevo trovato lavoro, fra l’altro anche vicino a casa. Tutto era nella norma. Avevo una vita piena: amici, sport, contrada, lavoro, famiglia. Dopo cinque anni, avevo ottenuto anche il contratto a tempo indeterminato nell’azienda dove lavoravo. Tutto perfetto. Ma sentivo che qualcosa non quadrava. Dopo qualche tempo – continua – mi si presentò occasione di cambiare azienda. Sempre a Siena, ma nuova, una sorta di start up. Però lì era all’inizio solo una sostituzione, un contratto a tempo determinato. Quindi dovevo lasciare il certo, un contratto a tempo indeterminato, per l’incerto. Ma dopo un po’ di titubanza decisi di cambiare e mi licenziai”.
“I miei non la presero molto bene! – dice sorridendo –. Tutto andò bene per un paio di anni, poi l’azienda iniziò ad andare male e persi il lavoro. Trovai velocemente un altro lavoro alla Novartis. Ricominciai tutto da zero, ancora. Dopo tre anni, però, rimasi di nuovo senza lavoro. Avevo già 33 anni. Quello per me fu un vero e proprio momento di crisi. Mi cadde il mondo addosso. All’epoca convivevo con una ragazza, avevamo iniziato a costruire una casa insieme. Ma più passava il tempo più tutta quella vita mi stava stretta. Iniziavo a non trovarmi più in tutto quello che mi ero costruito fino ad allora. Una mattina ero da solo, mi guardai allo specchio e dissi: no, così non va. Feci i bagagli, tornai a casa e feci un biglietto aereo per il Messico e partii”.
Un gesto coraggioso, sicuramente difficile, ma di grande onestà quello di Roberto. Onestà verso sé stesso ma anche verso la persona con cui stava vivendo…
“Il no non era a lei o alla vita che mi ero costruito – prosegue – Il no ero io. Io che non riuscivo più a starci dentro a quella vita. Ora lo so”.
Ma andiamo avanti, raccontaci di questo tuo primo viaggio in Messico…
“Partii da solo. Erano i primi di gennaio. Avevo solo fissato la data del ritorno, a fine febbraio dal Guatemala”.
Un mese e mezzo da solo, in giro per il Messico. Senza programmi. Fissando solo la data di ritorno. Libero…
“Sapevo solo che in un mese e mezzo, in qualche modo, sarei dovuto arrivare da Cancun in Guatemala. Il come era tutto da scoprire. Da qui è cominciato tutto. Partii solo, nel senso più ampio della parola. Senza telefono, senza internet. Era un viaggio dove c’ero io e solo io. Un viaggio non solo in Messico, ma anche e soprattutto dentro me stesso”.
In tutto questo hai mai avuto paura?
“No – risponde certo – assolutamente no. Ero talmente in trance che non c’era spazio per la paura. Tutti i giorni dovevo pensare ad una cosa nuova, a come gestirmi. Me ne sono successe tantissime. Ho fatto dei giri assurdi, in Chiapas, in un’isola in Honduras”
Ti sei mai sentito solo?
“Quando fai una scelta come la mia, la solitudine la metti in conto – risponde Roberto –. Ma è un qualcosa che ti serve per crescere. Credo che la vita si impari quando siamo soli, in prima persona a sbatterci contro. Quando sei solo in situazioni come quella in cui ero io devi pensare a tutto, a partire dalle cose più banali – come dove dormire, dove trovare da mangiare, dove andare, come andare -. E’ un continuo. Non è una vacanza, è un viaggio. In primis dentro te stesso e dentro quello che puoi capire di te stesso, quello che sei in grado di fare. E’ una specie di sfida. Da qui, da questo primo viaggio, è partito tutto. Ho assaporato veramente il senso della libertà e dopo non sono più riuscito a farne a meno. Non avere orari, non avere nessuno a cui rendere conto. Tutto questo è diventato la mia droga”.
Roberto è tornato da quel viaggio ma poi è ripartito e ripartito. E’ stato in Giappone, in delle isole del Pacifico, a Taiwan, in Indonesia, a Panama in alcune isole dove vivono delle popolazioni indigene, in Colombia, in Bolivia, in Argentina, in Cile, in Brasile, in Corea, Vietnam, Eritrea, India, Jamaica. Continua così la sua vita. Lavorando per dei mesi, mettendosi da parte i soldi per poi ripartire. Senza meta, senza programmi, solo sperimentando, lasciandosi trasportare dalle esperienze. Con una sola certezza: niente è definitivo, niente è per sempre.
Quale lezione di vita hai imparato da tutto questo tuo viaggiare, nel mondo e in te stesso?
“Ho imparato che spesso ci sottovalutiamo. Spesso ci facciamo ingabbiare da delle paure che in realtà sono delle paure che le persone ti vogliono inculcare. Come la paura delle altre persone, dei posti. Ho imparato ad essere aperto verso gli altri, senza pregiudizi – Fa silenzio un attimo e poi riprende –. Ho imparato a perdermi. Perdersi a volte è davvero fondamentale. Credo che uno dei problemi maggiori di questi nostri giorni sia che vogliamo tenere sempre tutto sotto controllo. Si vuole avere tutto preconfezionato. Ma in realtà è una vita falsata, che perde di interesse, di felicità. Nel mio viaggio ho scoperto cose che non mi aspettavo assolutamente. E questo mi ha fatto rimanere meravigliato della vita in un modo in cui non ero mai stato prima. La società in cui viviamo tende a far sentire diverso chi non fa scelte in linea. Ma io credo che sia proprio l’essere diverso ad essere un arricchimento. Si impara tantissimo dalle persone che vivono diversamente da noi. Si, ora ne sono davvero sicuro: le cose più belle mi sono successe quando mi sono perso. Quando ero nelle isole a Panama ho vissuto delle settimane dormendo su una barchetta, senza telefono, senza scarpe, vestito solo dal costume, mangiando con le popolazioni indigene del luogo. Una cosa indescrivibile, non la potrò scordare mai. Un vero paradiso”.
Ora Roberto sta lavorando ad Amsterdam. Ha un contratto fino alla fine dell’anno. Ripartirà? Sicuramente! Ogni giorno un sogno nuovo, ogni giorno una nuova sfida. Il suo sogno più grande? Quello di tutti: essere felice. Risposta forse scontata ma assolutamente non banale. Essere felici è una cosa seria.
“Molte persone fanno finta di essere felici – mi dice -. In realtà sono solo rassegnate. Ed io non voglio rassegnarmi. Voglio metterci sempre entusiasmo in quello che faccio, qualunque cosa sia. Vorrei anche essere di aiuto a qualcuno. Poter portare un sorriso a qualcuno. Vedo sempre più giovani rassegnati, impauriti della solitudine. E questo credo sia molto brutto. Pensano sempre che la felicità debba dipendere da qualcun altro o da qualche altra situazione. Invece la felicità va trovata dentro di noi, da soli. La felicità va costruita, ognuno la sua personale. Non viene regalata o data da qualcun altro. E’ un percorso. E bisogna avere la voglia di stare da soli per cercarla”.
Se dovessi dare un consiglio a qualcuno che ha un sogno e non sa come realizzarlo, cosa ti sentiresti di dirgli alla luce delle esperienze che hai fatto?
“I consigli non si danno. Posso dire solo il mio personale punto di vista – risponde –: i sogni vanno sempre inseguiti. E bisogna sognare sempre più in grande possibile, senza porsi limiti. E soprattutto non impaurirsi, lasciarsi andare, programmare il meno possibile la vita, pensare il meno possibile al domani. Se hai un’idea oggi, vivila. Senza rimandare. Anche perché magari quell’idea oggi è giusta e domani non lo è più. Vivere il presente. Senza avere paura del fallimento. Fallire fa comunque parte del gioco e serve per crescere. Io credo che si debba diffidare sempre di chi ha avuto una vita troppo regolare, perché la vita regolare ti spenge i sogni e senza sogni la vita è spenta. Tutto questo, però, senza trasformare il sogno in un’ossessione e accettare anche il fallimento come mezzo per evolvere. Io l’ho vissuto in prima persona. La cosa più brutta che poteva succedermi, ossia rimanere senza lavoro e senza certezze, si è trasformata nella più grande possibilità della mia vita che ho avuto la forza di cogliere. Spero – conclude – che il mio libro, in cui racconto tutto questo, possa servire ad altre persone per dar loro il coraggio di fare quel primo salto nel vuoto”.
E se dovessi definire con una parola questo tuo sogno realizzato, questo tuo mondo parallelo, che parola useresti?
“ Meraviglioso! – risponde senza neanche pensarci un attimo con un entusiasmo che mi raggiunge da Amsterdam – Io sono partito che ero la persona più arrabbiata del mondo. Questo mio viaggio continuo mi ha permesso di trasmutare questa arrabbiatura in meraviglia. E di questo sono tanto orgoglioso”.
E fa bene Roberto ad esserne orgoglioso. E’ riuscito davvero a fare su se stesso una grande opera di vera e propria trasmutazione alchemica. Dalla rabbia, rassegnazione, alla meraviglia, curiosità, libertà. Dalla paura all’apertura verso il mondo e l’altro. Dall’omologazione all’accoglienza del diverso. Da una mondo grigio ad un mondo a colori. Fatto di luoghi tanto diversi, di persone dai lineamenti diversi, di sapori e odori diversi. Insomma, fatto di vita.
Lo saluto, con la promessa di riuscire a fare con lui un’altra lunga chiacchierata dal vivo quando tornerà qui a Siena, fra un viaggio e l’altro, fra un’esperienza e l’altra.
Lo saluto e porto con me due parole: perdersi e meraviglioso. Lasciar fluire, liberarsi dalla paura della solitudine e degli altri, scrollarsi di dosso le gabbie della vita ordinaria e camminare senza una meta, solo con la voglia di camminare. Lasciando aperte tutte le porte, alimentando la fiamma dei sogni e facendo entrare tutto il meraviglioso mondo che è la vita.