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venerdì, Maggio 3, 2024

Siena, Valdichiana, Frattocchie e ritorno

Aspettando Remember Fgci Firenze 2024. Ricordi di una militanza politica: Ivano Zeppi

Ecco il terzo appuntamento con Ivano Zeppi. Lo chiameremo “Siena, Valdichiana, Frattocchie e ritorno”.

Ivano è il presidente dell’associazione senza scopo di lucro che edita il SienaPost, ma è anche un senese con ottimi ricordi che ci sta offrendo uno spaccato di vita e società politica dagli anni ’70 in poi.

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Grazie a lui stiamo proponendo dei ricordi che anticipano l’incontro nazionale del 10 febbraio 2024 a Firenze nel quale torneranno a riunirsi gli iscritti alla Fgci, organizzazione politica e comunista scioltasi nel dicembre 1990. Altro materiale può esser letto sul sito dell’Associazione Futura Siena o sul sito dell’evento, Allonsànfanfgci.

Nel primo articolo abbiamo raccontato la sua iscrizione da quattordicenne alla Fgci e la sua crescita fino alla responsabilità della segreteria provinciale; nel secondo la chiamata a Roma e il lavoro fatto sotto la segreteria di Pietro Folena che sarà al Circolo Due Ponti di Siena il 25 gennaio per un’iniziativa di preparazione alla convention di Firenze.

Ora, invitandovi a esser presenti il 25 gennaio al Circolo Due Ponti per un prequel di Allonsanfàn con la presenza di Pietro Folena che tre anni fa aveva lanciato proprio da Siena l’idea – facciamo un passo indietro e torniamo a raccontare l’esperienza di vita e di partito del giovane comunista Ivano Zeppi, poco più che venticinquenne.

Ivano, ciao e grazie ancora. Supponiamo che nel passaggio dalla Fgci al Partito quel che erano sogni, opportunità e chiacchiere fossero destinati a diventare fatti, concretezza e destini umani…

“E’ l’anno 1979. Lasciai la segreteria della Fgci di Siena ad Alessandro Starnini e “passai al Partito” dove assunsi responsabilità sui problemi del lavoro. Praticamente era una commissione all’interno del settore problemi economici allora diretto da Alessandro Vigni. Anche lui un figgicciotto ma degli anni ’60, trasferito al partito di Enna per alcuni anni e rientrato da poco a Siena”.

“Il mio compito – continua – era quello di ricostituire i rapporti con i luoghi di lavoro. Alla Ires, grossa fabbrica di frigoriferi, c’era una Sezione del Partito, che si riuniva la sera dopo le 22. All’Emerson, televisori, dove non c’era nessuna organizzazione riuscimmo con qualche fatica a costituire un coordinamento e a stampare un foglietto periodico; credo si chiamasse “quindici minuti… per discutere”. Il nome era legato alla pausa colazione… appunto di 15 minuti. Qualche tentativo lo facemmo anche alla Sapori, ma la stagionalità era un grande handicap. Più facile invece fu l’organizzazione di un ciclo di incontri nelle cooperative. La Montemaggio a Colle, la nuova Bilcap a Poggibonsi, L’Unità a San Quirico, la Comea a Siena”.

Interessante, soprattutto gli ultimi. Supponiamo che nel ’91-’92 avrai ritrovato queste relazioni cooperativistiche al momento di assumere responsabilità sulle cooperative. Ma andiamo con ordine… Fatta una cellula in fabbrica poi cosa dovevi fare?

“Un aspetto fondamentale del mio lavoro consisteva nel dialogo con il Sindacato. La Cgil ovviamente. In Camera del Lavoro alla Lizza le porte erano sempre aperte. Sergio Bindi, Oriano Cappelli, Vareno Cucini, Loriano Bernazzi e altri mi fornivano consigli, suggerimenti e contatti. Tra il Partito e il Sindacato – anche se in quegli anni non era ancora emerso il tema dell’autonomia e nel Comitato Federale del Pci partecipava una delegazione della Cgil e il Segretario Generale della camera del lavoro era nel comitato direttivo della federazione comunista – i rapporti non erano fluidi. Per così dire…”

Possiamo immaginare vedendo ciò che succede ora. Ma era un contrasto strutturale o dei personalismi?

“Ti direi che la differenza di prospettiva era fatto rilevante, ma probabilmente è valida anche l’altra considerazione. Difatti, le cose sarebbero migliorate di lì a poco con l’ingresso nel Partito di Sergio Bindi che sostituì Vigni che aveva assunto incarichi di amministratore comunale. Il cambio si senti subito. Ricordo di essere stato inviato ad un incontro in Camera di Commercio con Istituzioni e Associazione Industriali per la crisi di una azienda del Tessile abbigliamento del Chianti con un mandato esattamente contrario a quello ricevuto fino ad allora. Non ricordo i particolari, ma la cosa fece inalberare non poco il Dott. Centini direttore dell’Associazione Industriali”.

In quegli anni il Partito comunista aveva in provincia di Siena la maggioranza assoluta dei voti – e il dato venne confermato l’anno successivo -, quindi era un partito che aveva l’assoluta responsabilità di amministrare. Cosa significava?

“Il Partito, sulla spinta della regionalizzazione, che aveva attivato percorsi virtuosi nei territori a partire dai temi socio sanitario con la costituzione dei Consorzi, e che poi sarebbe sfociata nelle Associazioni Intercomunali, stava costituendo i comitati di Zona. Una organizzazione intermedia tra Sezioni, Comitato Comunali e Federazione. In Valdichiana sud si era delineato un primo coordinamento di 7 comuni con centro a Montepulciano che metteva insieme anche Chianciano, Chiusi, Pienza, Cetona, Sarteano e San Casciano”.

Che ruolo hai dovuto assumere in questo processo?

“In Valdichiana Nord – Sinalunga, Torrita e Trequanda – le cose erano più indietro… e non sembrava possibile una “fusione” immediata alla Valdichiana sud. Margheriti mi propose di mettere in piedi un coordinamento facendo centro a Sinalunga alta. Mi fu anche organizzato un ufficio che in verità usai poco… Margheriti mi mise a disposizione anche un piccolo appartamento nel centro storico, di proprietà della moglie che avrei usato quando non avrei potuto rientrare a Siena. Perché le attività si svolgevano sostanzialmente il tardo pomeriggio e soprattutto dopo le 21. Ho un ricordo nitido di riunioni in stanze allora piene di fumo, di discussioni accalorate soprattutto a Pieve di Sinalunga. Di lì a poco si costituì un solo comitato e mi trasferii di ufficio a Montepulciano”.

Fu una “missione compiuta”, allora? Il coordinamento di territori che ora stann per richiedere di esser capitale d’Italia della Cultura 2026 fu finalmente formato…

“Si e no. Sinalunga continuò ad impegnarmi fino alle successive elezioni amministrative. Il Sindaco uscente Loris Cateni, scomparso meno di un anno fa, che abitava a Guazzino per la ricandidatura non aveva il consenso di tutto il Partito che era distribuito su diverse sezioni: Sinalunga, Pieve, Guazzino, Bettolle, Rigaiolo, Rigomagno, Scrofiano. Bettolle – ago della bilancia – aspettava a schierarsi, la Pieve era la sezione più recalcitrante. Altre candidature in realtà non c’erano. Fu necessaria una estenuante opera di mediazione e alle fine Cateni fu ricandidato e il comune riconquistato. La campagna elettorale la feci frazione per frazione, caseggiato per caseggiato, con incontri e comizi volanti da un auto attrezzata con altoparlante”.

Se ricordiamo bene, quell’anno non avevi solo Sinalunga in cui fare alchimie politiche…

“Pienza fu l’altro comune che seguii. Anche lì una parte del partito – la cellula di campagna dell’Albergo – era di fatto e da 5 anni all’opposizione, cioè da quando, nel 1975, la Federazione del Pci – per mantenere l’unità a Sinistra – aveva accordato il sindaco al PSI a Pienza. Il mio compito fu di ricomporre il Partito, e l’unità a Sinistra. Bisognava trovare una candidatura, riconquistare la fiducia dei compagni e assicurare che la trattativa finale sarebbe stata condotta per ridare a Pienza un sindaco del Pci. La candidatura fu individuata nella compagna Vera Petreni, di Monticchiello, e dunque fuori dalla mischia pientina. Fu la prima “sindaca” di questa provincia; ne piangiamo proprio in queste ore la scomparsa tra Natale e Capodanno, il mio cordoglio per i familiari”.

“Più difficile – continua Ivano – fu riconquistare la fiducia dei compagni che si erano sentiti traditi dal partito nel 1975. Ci riuscii, probabilmente solo perché erano stati tutti amici di mio babbo Agostino, morto tre lustri prima, e nessuno mise in discussione la mia assicurazione di volontà. Fu una prova dura che tuttavia mi rese chiaro come i legami di amici a e di sangue non erano acqua… Il sindaco uscente Pallecchi, socialista mi invito a vedere alcune importanti realizzazioni della sua amministrazione. Pienza, stava riemergendo – con il turismo – fuori dalle crisi della mezzadria e delle fornaci che avevano provocato contemporaneamente la crisi delle campagne e dell’unico processo di industrializzazione avvenuto. Ne sia testimone il fatto che lo scheletro delle Fornaci è ancora li. Pallecchi mi fece capire che avrebbe preferito continuare a guidare il Comune. Ma nelle trattative elettorali riuscimmo a spuntarla con il Psi ed io a mantenere l’impegno preso, Pienza avrebbe avuto il suo primo sindaco donna”.

Stanze affumicate, ore piccole, quando potevi tornavi in via de’ Maestri – intitolata a Tito Sarrocchi nel 1931 -, quando non potevi andavi a Sinalunga, ospite dei Margheriti. In pratica non avevi pace…

“… In verità a Sinalunga dormii pochissime notti. Per il resto ero sempre in viaggio sulla Siena-Bettolle, allora a una sola corsia. La “pace”, come dici tu, di lì a poco la trovai, ma rifacendo la valigia con destinazione il km 22 della Via Appia. Lì si schiusero per me e altri dodici designati le porte delle Frattocchie, la scuola nazionale del Pci. Fu l’ultima volta che presi i libri in mano per un corso lungo, della durata di un anno circa. La scuola era un mito: tutta la sua attività era finalizzata alla formazione di quadri. Imponeva dedizione, studio e sacrificio; nessuna improvvisazione, la politica come scienza. Il corso prevedeva la permanenza è il pernottamento. Siena-Frattocchie la percorrevo in auto. Ogni 15 giorni rientravo a casa il venerdì e tornavo a scuola il lunedì”.

Certi ambienti credevano – e affermavano impunitamente – che dalle Frattocchie si uscisse con il kalashnikov a tracolla…

“Non è l’immagine che ho io quando penso alle Frattocchie. A me “appare” Luciano Gruppi, il direttore. Con la sua storia, le sue pubblicazioni e gli scritti, con il suo fisico minuto, il suo eloquio, i suoi modi gentili aveva tutto del profilo dell’intellettuale comunista, italiano, di formazione gramsciana e togliattiana. Fine conoscitore del pensiero di Berlinguer e di tutta la storia e la elaborazione dei comunisti italiani. Capace di dissertare con dovizia di particolari sui tanti passaggi dei documenti congressuali del Pci. Soprattutto a lui si dovevano le tante dispense attraverso cui è stata studiata nelle Sezioni la storia del Pci”.

E che facevate?

“Alla scuola la vita scorreva tranquilla. Colazione alle 8, lettura dei giornali, alle 9 in aula per un ciclo di conferenze, incontri e dibattiti con dirigenti del Partito ma anche intellettuali non necessariamente iscritti al Partito. Irrinunciabile pausa caffè alle 11. Pranzo alle 13. La cucina era assicurata da una compagna modenese che con il marito erano di fatto i “casieri” del complesso. Il marito guidava una mitica 600 giardinetta. Altre figure di spicco erano l’amministratore della scuola, la segretaria, la bibliotecaria (Falcone) ed un giovane tutto fare. Un giovane compagno medico di Ariccia – giocatore di rugby – assicurava il servizio d’infermeria e il presidio sanitario. E poi c’erano le compagne che assicuravano la gestione dei piani e il servizio in sala. Il cancello, dotato di apertura elettrica, collegato a una sorta di garitta, manufatto in cemento e vetro, era presidiato dai compagni della vigilanza che fungevano anche da portieri. Durante la notte, a turno, andavamo loro in aiuto. Prevenzione non inutile stante i pregiudizi che tu stesso insinui; in quel periodo tuttavia non accadde nulla”.

Cos’altro vuoi aggiungere su Frattocchie?

“Era facile intuire quanto prestigio rappresentasse frequentare quella scuola. In occasione di seminari e iniziative nazionali la scuola si riempiva. E noi avevamo libero accesso a tutte le iniziative. Tutte le attività erano audio-registrate puntualmente, e duplicate in musicassette per chi volesse riascoltarle, giacché lì si produceva la cultura più alta del partito. Nulla era pensato per essere soltanto consumato nel momento. In capo ad un anno Frattocchie finisce, con la certezza che quello a cui avevo partecipato sarebbe stato l’ultimo corso lungo non solo per me ma anche per la scuola stessa. E, credo proprio che così fu. Si trattava di “investimenti” concordati tra centro e periferia del partito divenuti non più sostenibili”.

Rientrando a Siena come la Federazione di viale Curtatone decise di impiegarti?

“Poco dopo il rientro a Siena, assumo la responsabilità di segretario del Comitato Cittadino del Partito. Si avvicinano le elezioni del 1983. Sindaco era il socialista Mauro Barni, Vicesindaco Roberto Barzanti, il raccordo con il partito era assicurato da Mauro Marrucci, che era in segreteria provinciale; capogruppo il professore universitario Sandro Nannini. Il clima nel Partito era al contempo vivace ma anche critico. A Palazzo Chigi a Roma il PSI governava con la Dc, a Siena guidava invece il centrosinistra. Una contraddizione politica di non poco conto. La campagna elettorale non si annunciava facile. Nel Partito peraltro cresceva la richiesta di un cambio di gruppi dirigenti e, diversi pensavano che le elezioni potessero essere l’occasione per ottenere un sindaco comunista. Quando l’ipotesi di candidare il segretario di Federazione, Riccardo Margheriti, risultò impraticabile, il rinnovamento della presenza del Partito fu cercato altrimenti, nella composizione della lista dei candidati”.

Parlaci di questa campagna elettorale. Non fu quell’anno che venne a Siena Berlinguer?

“Certo che sì. La campagna elettorale fu aperta in piazza Matteotti da Enrico Berlinguer. Assicurarsi la sua presenza non fu cosa facile. Io ero sul palco e avevo partecipato a tutte le fasi per organizzare la sua presenza a quella manifestazione. Le richieste erano complesse. Intanto, nonostante la piazza e il palco, quella manifestazione non voleva essere tradizionale. Berlinguer, esplicitamente, aveva rifiutato un comizio e voleva un incontro il cui protagonista fosse il popolo. Aveva poi voluto che chiedessimo al più vasto corpo del partito le domande cui rispondere. Ricordo un incontro preparatorio all’allora hotel Jolly alla Lizza in cui il Segretario nazionale – eravamo una delegazione composta da Margheriti, Bindi, Nerli ed io – passò in rassegna, insieme a Tato’, i quesiti che avevamo raccolto nel corpo attivo del Partito e persino al mercato settimanale attraverso un volantinaggio. Ricordo la puntigliosità con cui volle che non fosse solo lui a rispondere, suggerendo, come poi avvenne che a rispondere ad alcune domande fossero anche Eriase Berardi e Roberto Barzanti”.

“La manifestazione – continua Ivano – richiese un impegno grande. Anche allora il Partito poteva contare su un gruppo di giovani, in particolare studenti universitari fuori sede, che assicurarono volantinaggio e servizi di vigilanza. Un nome per tutti Tonino D’Anello. L’iniziativa con Berlinguer ebbe una vasta eco ma gli esiti elettorali tuttavia non erano scontati: il capoluogo non poteva contare su maggioranze come quelle che avevamo in provincia. Il lavoro di composizione della lista dei candidati fu assai laborioso. Molte energie nuove furono candidate, proposte in particolare dalle sezioni. Ma si avvertivano molti silenzi e qualche assenza. Dire a posteriori che fui lasciato solo sarebbe ingeneroso per quelli – come Nerli, Bindi, Machetti e tanti altri – che mi furono accanto. Ma qualcosa covava…”

Prego, siamo tutti orecchi, hai avviato una narrazione da noir e vogliamo arrivare alla fine…

“Il Pci poteva sperare di avere tra i 16 e 18 consiglieri (su 40). Ne ottenne 17. Allora il partito assegnava – attraverso le sezioni territoriali – un ordine di preferenza e invitava gli iscritti a seguire tale indicazione. Erano le famose “quartine”, cioè bigliettini stampati con quattro nomi. In realtà la lista quella volta conteneva energie che potevano aspirare ad essere elette ben oltre il numero possibile. E tutte le complicate alchimie saltarono. In più il diavolo ci aveva messo lo zampino: una quartina non venne per un errore stampata e quindi non distribuita e alcuni candidati, consiglieri uscenti, non furono eletti. Si aprì un problema politico”.

Supponiamo che i nomi degli “esclusi” non ce lo vorrai fare, ma sicuramente di cose da dire ce ne saranno state molte…

“No infatti: i nomi catalizzano l’attenzione ma non sono la risposta. All’attivo cittadino – a cui partecipò il segretario regionale Giulio Quercini – convocato per l’analisi del voto, al termine della relazione, per facilitare la discussione, rassegnavo le dimissioni, e mi assumevo la responsabilità della mancata stampa e distribuzione della famigerata quartina. La discussione si chiuse. Eravamo prossimi al Palio e alla festa de L’Unità. Appuntamenti irrinunciabili entrambi anche se imparagonabili e da non mettere assolutamente allo stesso piano”.

Supponiamo che mentre si preparava la tua sostituzione fosti tu a contribuire per il Partito alla definizione della nuova giunta…

“Già, a fine giugno le elezioni, a settembre 1983 la Giunta di centrosinistra con Mazzoni della Stella Sindaco. L’accordo con il PSI fu raggiunto facilmente, nessun’altra maggioranza era possibile. Mi ricordo una serie veloce di incontri con il segretario comunale, il socialista Pierluigi Corsi. E poi, Mazzoni aveva un trascorso in Cgil e con Sergio Bindi una lunga frequentazione. Il capogruppo era Aurelio Ciacci, dirigente di lungo corso… Barzanti, poco convinto, assunse la responsabilità di vicesindaco. Lo farà per poco. Con la scomparsa di Enrico Berlinguer gli subentrerà al parlamento europeo. La giunta di centrosinistra iniziò così il suo lavoro. Un gruppo di consiglieri giovani iniziò il proprio percorso: Fiorella Bianchi, Claudio Machetti, Pierluigi Piccini, Antonio Sanò, il compagno Massimo di Sant’Andrea detto il “Rosso”, che ci ha lasciato troppo presto. E, anche se Il Partito cittadino si riorganizzo intorno a Amos Fregoli ed io fui “chiamato” a occuparmi delle casse del Partito, Il legame con quei compagni durerà oltre il 1990 fino alle soglie del nuovo millennio… Ma è davvero un’altra storia”.

Veniamo al nuovo incarico: amministratore della Federazione, cioè quell’esperienza che ti metterà in luce agli occhi di Pietro Folena e determinerà il tuo ritorno alla Fgci..

“Allora la federazione non aveva debiti e neppure ipoteche sull’immobile di via Curtatone. Le risorse provenivano in grande misura, a parte qualche ristorno nazionale dal finanziamento pubblico, dalle tessere, dalle sottoscrizioni e dagli utili delle feste de L’Unità. Impegni sull’editoria erano rappresentati sostanzialmente dal settimanale Nuovo Corriere Senese e non vi erano uscite verso radio e tv che invece altrove rappresentavano le “nuove frontiere” dell’informazione locale. Il lavoro si concentrò proprio sulla contribuzione degli iscritti. In quegli anni le tessere non crescevano più e la necessità era quella di far comunque crescere la contribuzione media. Con il segretario Nerli e il responsabile organizzazione Pacini, inventammo la scheda di impegno alla contribuzione, un meccanismo che di fatto rateizzava la quota. La scheda non funzionò ma la sensibilizzazione sì e la contribuzione media crebbe”.

“Le feste dell’Unità in fortezza ad agosto – continua Ivano – furono il secondo capitolo di impegno. Intanto riuscendo ad inserirle nei percorsi nazionali delle feste tematiche (cento città nel 1984; futura 1985). Il percorso nazionale significava un programma politico di livello ma anche sponsorizzazioni nazionali (Peroni, Coca Cola etc) consentendoci spettacoli di tutto rispetto: Nannini, Bertè, per ricordarne alcuni. La festa richiedeva un lavoro da un anno ad un altro. Per le strutture e le attrezzature che erano un compito di Ancilli e Palei; per il coordinamento degli impegni delle varie Sezioni per la gestione di ristoranti, ristori, bar, pizzeria, dolci. La gestione dei vari menu, e i conseguenti approvvigionamenti e acquisti. Il magazzino della festa situato nel bastione davanti alla statua di Santa Caterina, diventava il cuore della festa e in quegli anni, nel mese di agosto divenne il mio regno”.

Scusa, facci capire, in quel periodo solo incassi? Solo attenzione alle entrate? E, niente spese?

“L’attenzione alle spese era costante. Ricordo con quante “riflessioni” fu deciso un investimento per un video proiettore. Un impegno importante fu allora, la ristrutturazione dell’immobile di viale Curtatone. Aveva bisogno non solo di una rinfrescata e una rivisitazione degli impianti, ma anche di spazi più importanti per riunirsi. Il progetto fu affidato all’architetto Brogi che riuscì a ricavare un salone nel seminterrato e una salettina nel sottotetto oltre a installare un ascensore sui cinque piani. I lavori furono affidati alla cooperativa Montemaggio di Colle Valdelsa. Nel periodo dei lavori l’attività e gli uffici si trasferirono al palazzo affari nella sede della sezione Arci Allende del Petriccio e al Circolo di Fontebecci”.

Beh, quando siete rientrati in casa, la Federazione era uno stabile che provocava ammirazione e invidie…

“Fu il risultato di molte attenzioni. Ricordo che con Nerli le visite al cantiere erano giornaliere e diverse delle soluzioni furono trovate solo in corso d’opera. Dopo, non ho grandi ricordi di vita vissuta nei locali ristrutturati. In effetti di lì a poco sarei stato destinato a Roma tra Aracoeli e Botteghe oscure. Ma è una storia che ho già raccontato… Comunque quelli furono gli anni in cui si cemento un vincolo di amicizia con Francesco Nerli che ho già avuto modo di raccontare ad alcune iniziative in suo ricordo”.

(3 – continua)

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