“Interessa qualcuno immaginare cosa ne sarà di questa, nostra, Siena?”

di David Taddei

Nelle scorse settimane, Siena Post ha pubblicato un articolo di Maurizio Cenni,
sindaco nel primo decennio di questo secolo. C’è quasi una cesura, un prima e un
dopo, fra i suoi mandati e il periodo successivo. Non mi riferisco ai fatti (e ai misfatti)
legati a Bmps, che pure ne sono un’importante concausa, quanto a una rinnovata
abitudine di inseguire l’attualità piuttosto che immaginare un futuro, nella gestione
della città e dei suoi beni comuni.

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Maurizio Cenni – Sindaco di Siena 2001-2011

È sempre facile scivolare nelle impellenze del presente e procrastinare la scelta di
cosa vorremmo essere nel futuro, ma una città che faceva della visione la sua forza
(dal sindaco Barni in poi), all’improvviso si è trovata a mettere toppe, interventi spot
o a fare opere apparentemente non collegate a un disegno generale di città.

In quella stagione, dal pensiero di Barni di spostare l’ospedale e rigenerare il Santa
Maria della Scala in poi, la città ha saputo guardare a contesti sempre più ampi e
coordinati. Pensate cosa sarebbe oggi Siena senza i suoi parcheggi multipiano a
raggiera lungo gli accessi della città murata e le sue risalite meccanizzate, tanto per
fare un esempio. Oppure la caparbietà e il sognare in grande nel portare avanti il
progetto di Santa Maria della Scala fino a quegli anni. La risistemazione dell’area
della Stazione fino a via De Bosis, pur con il contestatissimo edificio lineare, diverso
da come lo aveva pensato Piccini, che ha ridisegnato gli attracchi dei bus di linea alla
città e aperto la direttrice verso l’Antiporto. Guardate oggi come è diversa e più viva
Via Camollia.

Santa Maria della Scala


Il vero detonatore di questo modo di pensare “al ridotto di casa nostra”, non è stata
la crisi di Bmps, quella arriva dopo, quanto la crisi internazionale del 2008 che a
Siena, grazie alla Fondazione Mps usata quasi come ammortizzatore sociale, si è
sentita solo a partire dal 2010.

Fino a quel momento Siena ragionava su come fare a crescere per avere nuovi
abitanti, nuove attività economiche, per attrarre più turisti con mostre ed eventi.
Era proiettata verso una configurazione in linea con le prospettive che all’epoca
esistevano a livello globale e dove la nostra città aveva l’ambizione di contare molto.
Si pensava a togliere funzioni dal centro storico per favorire il ritorno di residenti,
tanto per dire. Oggi molti rimpiangono lo spostamento dell’Università per Stranieri e
la perdita di tanti altri uffici, ma all’epoca c’era il sentiment di liberare spazi del
centro storico per la vita dei senesi. Allo stesso tempo, dietro le spinte anche del
Sunia, si lanciò il progetto per costruire diecimila nuovi appartamenti, utilizzando
lottizzazioni rimaste ferme negli anni (vedi San Marco o Caduti di Vicobello). C’era il
progetto di espandersi a sud (a nord non c’è territorio) posizionando la cittadella
dello sport fra Isola d’Arbia, la ferrovia e il raccordo della Siena – Bettolle, con tanto di nuova viabilità e il progetto, mai decollato, della metropolitana di superficie che
avrebbe risolto i problemi della Val d’Arbia. Avremmo recuperato la conca del
rastrello ad altre funzioni, forse più adatte al centro storico di una città d’arte come
Siena.

Oggi sembrano eresia, all’epoca avevano un senso e non sapremo mai cosa
sarebbe successo se avessimo avuto la forza di completare quel disegno.
A testimoniare ciò che fu fatto e pensato, esiste ancora un corposo bilancio sociale
che Maurizio Cenni consegnò alla città alla scadenza del suo secondo mandato. Lì
dentro ci sono tutte le cose realizzate e progetti rimasti nel cassetto. È l’ultimo
documento riepilogativo realmente rappresentativo dell’attività di governo della
città, messo a disposizione dei senesi, dopo solo cose molto parziali e poco leggibili.
Seppure i tempi siano molto diversi e le funzioni, in molti casi, cambiate, viene da
chiedersi perché oggi – come direbbero i più anziani – si pensa molto alla tattica e
poco alla strategia? Perché oltre all’immanente presente non si riesce ad andare e
non suscita interesse immaginare la città come dovrà essere domani, fra cinque –
dieci anni?

La novità degli ultimi anni è stata una specie di chiusura a riccio, un’autarchia che
odora di soluzione difensiva, di una città che si sente incompresa e che si ritira
dentro le sue mura.

L’uscita dalla Fonazione Musei Senesi, la riduzione al minimo dei servizi integrati con
i comuni confinanti, alcune scelte su scala provinciale di sanità, case popolari,
l’accorpamento in un’unica società comunale di un mix di funzioni dettate da
necessità più che dalla logica, l’ostracismo verso soggetti di caratura internazionale,
di grande e acclarata professionalità, nella gestione e nella promozione dei beni
culturali, fanno tornare in mente quel vecchio e mai dimenticato motto che ci piace
tanto: “A Siena si fa come ci pare”.

Forse è arrivato il momento di ricominciare, invece, a sentire anche cosa vogliono
fare quelli intorno a noi e riprendere quel vecchio progetto che Maurizio Cenni
chiamò Smas, un acronimo (a me piaceva poco) per dire Schema Metropolitano
Area Senese. Se avete tempo andatevelo a vedere. C’è ancora nella rete, anche se
fermo al 2015 (https://cloud.ldpgis.it/siena/smas). Condividere con i comuni
contermini servizi scolastici, mobilità, progettualità di nuove aree edificabili, zone
industriali e tanto altro forse sarebbe un modo migliore di gestire i beni comuni.
Anche perché parecchi dei loro abitanti sono senesi che vivono fuori città.

Comunque la domanda resta lì sospesa: interessa qualcuno immaginare cosa ne
sarà di questa, nostra, Siena?

David Taddei

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